Sarà capitato un po’ a tutti voi: parlare di un argomento con un amico, e ritrovarlo in forma di annuncio o banner pubblicitario su Facebook o in altri siti web. A me per esempio ha fatto molto ridere quando in Italia-Polonia dello scorso ottobre Biraghi ha segnato il goal vittoria, e i telecronisti si sono prodigati per tutto il resto della partita in lodi sul difensore della Fiorentina. Avevo lasciato il cellulare sul tavolo davanti alla televisione, ed ecco che il giorno dopo:
Ok, la cosa è in modo più o meno lampante sotto gli occhi di tutti, ma fin qui nessuno aveva prove di maggior valore rispetto a questi esperimenti empirici che vi ho riportato anche io. Interrogato sull’argomento Facebook si premurava di rispondere sempre in modo negativo a questa accusa: “No, non vi ascoltiamo“. Il punto è che forse cercavamo il responsabile sbagliato.
È Google che ha accesso continuamente al nostro microfono, in attesa che attiviamo il suo assistente vocale: a tutti i possessori di Android basta infatti pronunciare le parole “Ok Google” affinché questo si attivi, pronto a rispondere alle nostre domande. Un servizio molto utile, a dire il vero, se non fosse che per sapere quando esattamente noi diciamo la parola magica di attivazione, il microfono deve restare sempre acceso. E già che ci siamo, avranno pensato ai quartieri alti, perché non approfittarne e rivendere questi dati a chi fa pubblicità?
Dove trovo i dati che Google ha su di me?
Ok, adesso voglio fare un gioco con voi, accedete al vostro Account Google da una qualunque scheda di Google Chrome (oppure cliccando qui, se siete da cellulare). Si fa così:
Una volta cliccato sull’icona “Account” si arriva qui:
Cliccate quindi su “Gestisci i tuoi dati e la tua privacy” nella colonna di sinistra per arrivare a una nuova pagina, dove cercare questo:
Dovrete scegliere “Le mie attività” per arrivare poi qui:https://myactivity.google.com/
Adesso cliccate su “Filtra per data e prodotto” sotto alla barra di ricerca, indicate “Assistente” tra le opzioni, e scorrete i risultati per trovare le registrazioni audio fatte da Google:
L’Attività vocale e audio consente a Google di offrirti un’esperienza più personalizzata all’interno dei suoi servizi. Ad esempio, Google può capire meglio ciò che dici quando parli al tuo Assistente.
Ecco che possiamo ritrovare tutto ciò che Google ha immagazzinato dal nostro microfono. Cliccando sulla parola “Dettagli” sotto ogni singola voce è possibile avere più informazioni rispetto all’attività, o richiedere la cancellazione o interruzione dal tasto “Gestisci“.
Scorrendo fino a questo box qui e de-selezionando la voce “Includi attività vocale e audio” o cliccando “Scegli un’opzione di eliminazione automatica“
[La procedura potrebbe essere cambiata: l’articolo è uscito da un po’ di tempo e Google cambia molto spesso i suoi menu. Scrivetemi in privato se avete bisogno di aiuto!]
C’è davvero da preoccuparsi?
Allora, è bene dire che se la cosa vi ha veramente sconvolto, è davvero veloce interrompere questa pratica sconveniente: basta negare il vostro consenso da questa pagina qui. Google cesserà di ascoltarvi, e la storia finirà qui (da qua potete richiedere anche l’eliminazione dei dati immagazzinati finora). Magari riceverete qualche annuncio personalizzato in meno, ma quanti sono i casi in cui appunto Google non è in grado di riconoscere il sarcasmo, o la voce proveniente dalla televisione, portandovi quindi pubblicità totalmente fuori dai vostri interessi, come nel caso di Biraghi?
In base al vostro grado di paranoia potete anche andare alla voce “Applicazioni”, nelle impostazioni del vostro telefono, cliccare su app come Facebook o Instagram, poi scegliere “Autorizzazioni” e negare quella di accesso al microfono (nonostante come vi ho riportato sopra, Facebook abbia sempre smentito di utilizzare le informazioni captate da lì per mostrare annunci mirati).
A un livello più generale viene da chiedersi la legittimità di tutto ciò, e la faciloneria con cui ci prestiamo a certe pratiche: chi di noi ha mai letto per intero le note legali prima di sottoscrivere il servizio? Chi, al momento dell’acquisto del nuovo telefono, si prende due ore al primo accesso per leggere il testo normativo che Google fornisce per spiegare come utilizza i nostri dati? E per Facebook? E dunque, una volta che ci abbiamo messo la firma, possiamo protestare?
Personalmente, sono molto felice dell’operato dell’Unione Europea a riguardo, che si sta battendo affinché i termini dei servizi che sottoscriviamo siano sempre di facile e veloce comprensione (il GDPR di cui qualcuno avrà sentito parlare qualche mese fa dice proprio questo). Forse è proprio per questo che ultimamente Google si è adeguato, mettendo in chiaro tutti i dati che immagazzina sul nostro conto, rendendoli di facile accesso per noi, e che Facebook abbia seguito l’esempio riunendo in un luogo tutti quei servizi esterni al social network che hanno avuto accesso ai nostri dati, e li utilizza per inserzioni su misura (anche in questo caso potete disattivarli).
È bene specificare poi che nessun operatore umano ascolterà mai le nostre conversazioni, che sono gestite da un algoritmo utile solo a indirizzarci pubblicità su misura. Ciò che può preoccupare in questo caso, quando affidiamo la nostra presenza online a un sofisticato algoritmo, è il meccanismo delle cosiddette bolle di informazione (o Camere dell’eco), sintetizzato dalla formula di Amazon: “se ti è piaciuto questo oggetto, amerai anche questo”.
La camera dell’eco (spesso indicata con l’originale inglese echo-chamber) è una descrizione metaforica di una situazione in cui le informazioni, le idee o le credenze vengono amplificate o rafforzate dalla comunicazione e dalla ripetizione all’interno di un sistema definito. All’interno di una camera dell’eco figurativa, le fonti ufficiali spesso non vengono più messe in discussione e le viste diverse o concorrenti sono censurate, non consentite o altrimenti sottorappresentate. Trae origine dal fenomeno fisico dell’eco, dove i suoni riverberano in un recinto cavo.
Fonte Wikipedia
È lo stesso principio per cui sulle nostre bacheche Facebook e Instagram finiamo per trovare sempre i post degli stessi amici e delle stesse pagine, quelli per inciso con cui interagiamo di più. Un meccanismo limitante che tende a piazzarci in una bolla fatta solo di ciò che ci piace, con effetti devastanti quando applicato alla politica, come polarizzazione e disinformazione (o credete che il crescere delle destre nazionaliste e xenofobe in tutto il mondo sia solo un caso?).
Non utilizzo Facebook né altri social, sono al sicuro?
Si parla spesso di come sfuggire a questi meccanismi deviati dei social network, dove la privacy è barattata con la possibilità di pompare il proprio ego con i like degli amici, e raggiungere persone e aggregare comunità in tutto il mondo. Per qualcuno basta cancellarsi dai social network per uscire dall’inghippo, ma è realmente così? Come abbiamo visto, non è abbastanza nel caso in cui sia Google ad ascoltare le nostre conversazioni, o a monitorare le nostre ricerche, o addirittura a tracciare la nostra posizione (vi è mai capitato di andare di persona in un negozio e ricevere nei giorni seguenti pubblicità dallo stesso? Probabilmente avevate attivo il vostro GPS, bluetooth o Wifi! Ecco una guida per capirci qualcosa).
La rete di annunci pubblicitari collegata a Google, Google Ads, è vasta e ramificata, raggiunge pressoché tutti i siti internet, le applicazioni che scaricate e i servizi di proprietà del colosso americano come YouTube. In questo caso uno dei pochi modi per bloccare la comparsa dei banner pubblicitari è un servizio piuttosto famoso di nome AdBlock, programma che si installa sul browser del nostro computer (il programma per andare su internet) proprio per nascondere la maggior parte della pubblicità presente in rete (anche se alcuni siti hanno iniziato a chiedere agli utenti di non usare questo programma sulle loro pagine, nascondendone il contenuto finché AdBlock non viene messo in pausa. Sono in genere i siti che vivono del solo guadagno di queste pubblicità).
Dall’altro lato, però, pare impossibile bloccare del tutto l’immagazzinamento delle informazioni di Facebook (e forse anche di Google ed Apple) nei nostri confronti. Come mai, vi chiedete? Beh, anche se sullo smartphone di vostra proprietà vi adoperate per bloccare tutti quei servizi che registrano informazioni sul vostro conto, non potete fare altrettanto sui telefoni dei vostri amici. Poniamo il caso che un vostro amico abbia il vostro numero salvato in rubrica: nel momento in cui accederà a Facebook e sincronizzerà la rubrica telefonica con i suoi contatti, Facebook si accorgerà di un numero non associato ad alcun profilo, e lo salverà come “utente ombra” (è spiegato molto bene in questo articolo). Poniamo anche che un altro amico abbia associato nella sua rubrica il vostro numero di telefono a un indirizzo email. Ecco che Facebook analizzando la rubrica di questo terzo amico assocerà a quello stesso numero di telefono anche il parametro email. E così via.
Parlare su whatsapp, essere nello stesso luogo fisicamente con il gps acceso (qui un caso specifico, spiegato bene), collegarsi alla stessa rete wifi: sono tutti dati che vengono salvati, immagazzinati e analizzati, per creare modelli, profili da vendere ad altre aziende in cerca di un particolare tipo di consumatore (se volete sapere che idea si è fatto Google di voi, da questo link potete vedere il profilo che ha dedotto dai vostri comportamenti, con indicati i vostri interessi e preferenze). Quali possono essere le conseguenze negative? Beh, per ora poche: potreste vedere la pubblicità del regalo che state per ricevere perché siete collegati alla stessa rete wifi su cui ha fatto la ricerca il vostro partner, per esempio. Oppure il vostro supermercato potrebbe scoprire prima di voi che vostra figlia è incinta basandosi sui suoi acquisti e le sue ricerche (non ci credete? È successo davvero, raccontato qui). Ma che succede, come nel caso di Cambridge Analytica, se queste informazioni che un’azienda ha su di voi vengono vendute ad un’altra (anche Google si è fatto beccare con le mani nel sacco: ha fornito audio catturati con i dispositivi di smart home a una società di studio)? E come funziona nei regimi autoritari nel mondo, quando è il governo a entrare in possesso di queste informazioni? Non parliamo di una puntata della serie tv distopica Black Mirror o del Grande Fratello: in Cina sono già previste sanzioni per chi, dall’analisi dei dati, non appare come un “buon cittadino”.
Cosa ci aspetta in futuro?
Per qualcuno tutto ciò potrebbe sembrare spaventoso, per altri rappresentare il futuro: di fatto è la condizione in cui ci troviamo, sempre più connessa e intrecciata in reti sociali. Proprio per questo motivo è importante che sia il più possibile diffusa una cultura di fondo sulla privacy e sulle azioni in nostro potere per proteggerci, in particolare quando decidiamo di mettere un dispositivo di questo tipo nelle mani di un minorenne (ecco invece, sigh, una notizia dell’ultima settimana: Cyberbullismo, un ragazzo su quattro ignora la privacy).
Basta un’app che ci promette di regalarci un iPhone di ultimo modello dopo un milione di passi perché altrettanti milioni di persone cedano i dati della loro posizione e dei loro percorsi quotidiani a… non si sa chi! (in questo caso una coppia di informatici russi) Avreste mai accettato un patto di questo tipo con uno sconosciuto fino a qualche anno fa?
Facebook, Google, Apple, sono nomi entrati ormai a far parte della nostra vita, e sarebbe un grave errore continuare a considerarle piattaforme digitali distaccate dal mondo fisico. Occupano gran parte della nostra giornata, ci seguono ovunque, e sono tra le aziende più ricche e potenti del pianeta. Continuare a studiarle, monitorarle e osservarle con senso critico è il minimo che possiamo fare. Nel mio piccolo invierò questo articolo a tutti coloro che in passato mi hanno chiesto se fosse possibile che il proprio telefono li ascoltasse, sperando di essere di aiuto.
Ma tu come le sai queste cose?
Un po’ perché fa parte del mio lavoro, lavorando nel digitale, un po’ perché la comunicazione è sempre stata la mia passione. Studiare e documentarsi quotidianamente è una pratica da non abbandonare mai: a chi è interessato all’argomento riassumo qui le fonti utilizzate per scrivere l’articolo, che trovate già citate qua e là.
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Fonti:
- Siamo tutti paranoici, o il nostro cellulare ci ascolta? – Vice
- I nostri cellulari non ci ascoltano – Il Post
- Che cosa sa Google di noi: così gli smartphone Android ci tracciano anche quando non li usiamo – Il Sole 24 Ore
- Hard Questions: What Information Do Facebook Advertisers Know About Me? – Facebook Newsroom
- La protezione dei dati nell’UE – Commissione Europea
- Attività fuori da Facebook – Pagina di gestione
- Off-Facebook, Zuckerberg spiega per la prima volta come funziona la pubblicità sul social blu. E come (provare a) smettere di vederla
- Camera dell’eco – Wikipedia
- La polarizzazione politica in rete? Incattivisce una società in cerca di identità – Linkiesta
- Fake news, camere dell’eco e filtri bolla: sottovalutati e sopravvalutati – Valigiablu
- Facebook e l’algoritmo che favorisce Salvini e Di Maio – AGI
- Cos’è un beacon e quali sono i suoi benefici per il marketing – Antevenio
- Google Ads – Wikipedia
- AdBlock
- Facebook ha un tuo profilo segreto. E lo usa per trovarti gli amici. – Leevia, blog
- Big Data Challenge. Il futuro è una sfida che dobbiamo vincere – Gli Stati Generali
- Cina: la reputazione del “buon cittadino” disegnata dai big data – Altraeconomia
- Cyberbullismo, un ragazzo su quattro ignora la privacy – LaRepubblica
- La app che ti paga se cammini è la più scaricata in Italia – AGI